Posted on 25 gennaio 2013

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Tre momenti fondamentali:

Pessimismo individuale: leopardi è convinto che la sofferenza e il dolore siano solo sue e solo sue sensazioni (definisce la sua città “Recanati” natio borgo scimmiotto o qualcosa del genere).

Pessimismo storico: qui si rende conto che non è un esclusiva sua (il dolore), ma un dolore di tutti gli uomini.

Pessimismo cosmico: il pessimismo si accentua ulteriormente, perché Leopardi, individua il dolore e la sofferenza non solo negli uomini, ma anche negli animali e in tutte le cose dell’uomo.

Le uniche 2 amicizie che lega sono: Pietro Giordani, che era direttore di un’importante rivista dell’epoca( la Biblioteca italiana), e gli permette non solo di sfogare il suo dolore e le sue sofferenze, ma anche di avvicinarsi a una cultura e delle idee più moderne, ed è proprio grazie a questo che leopardi scrive le prime poesie “civili”come: “ All’ Italia ”,  “Sopra il monumento di Dante”.

Leopardi nel 1819 compone alcuni dei suoi idilli come per esempio l’infinito. Successivamente, sempre a causa dei suoi problemi, Leopardi inizia un lungo periodo di silenzio poetico, x 5 anni non compone più versi, ma si limita a scrivere opere erudite(opere che analizza opere altrui), poi dopo 5 anni ricomincia a scrivere ma non poesie, ma opere in prosa, come le “operette morali” (che finisce nel 1833). Dopo il 1824 ricomincia anche a riscrivere opere poetiche, tra cui i “Grandi Idilli”.

L’altra persona con cui stringe amicizia, persona vicina a lui negli ultimi anni della sua esistenza, è Antonio Ranieri(cura la prima edizione post mortem presso l’editrice Le Monnier), un giovane intellettuale Napoletano, che diventa suo amico Fraterno, infatti nel 1833 Leopardi riesce a coronare il suo sogno, andarsene da Recanati, e di fatti si trasferisce a Napoli, ospite del suo amico Ranieri, dove muore nel 1837. A Napoli si trovava anche nel 1836, dove ce un epidemia di colera, quindi se ne vanno a torre del Greco( proprio qui, Leopardi compone “la Ginestra”).

“i Canti”(raccolta di tutte le poesie di Leopardi) sono raggruppate in base al tema che trattano.

Le prime 9 sono composte dal 1818-1822(alcune di queste sono definite politiche o civili).

2 blocco= 5 idilli tra il 1819-1821, più altri 5 composti successivamente, ma analoghi come tematica.

*idilli=idillio che è un termine della letteratura greca, per i greci, idillio era una poesia piuttosto breve, che rappresentava un quadretto(piccola descrizione di un paesaggio con all’interno delle figure stereotipate), Leopardi prende in prestito questo termine, e ne trasforma in parte il significato. Anche il Leopardi si descrive il paesaggio, ma al di sotto della descrizione appaiono i sentimenti del poeta.

3 blocco, i canti pisani-recanatensi che vengono composte dal 1828-1830, e vengono composti a Pisa e a Recanati.

Ciclo di Aspasia, che comprende le liriche composte da Aspasio, per una donna per Fannì Targioni Tozzetti.

Ultimo blocco, comprende le poesie composte a Napoli, nel ultimo periodo della sua vita, ci sono delle traduzioni, e la Ginestra e il tramonto della Luna.

Il passero solitario, Tema dell’indefinito, tema del vago.

È una canzone, che è imperniata sul parallelismo tra il poeta e un passero; un passero la cui indole è diversa da tutti gli altri passi, e l’analogia tra tutti e due, sta proprio nell’essere diversi dai loro simili, così come il passero non fa tutte le cose che gli altri, così anche Leopardi non fa tutte le cose che tutti i giovani fanno, l’analogia ricopre le prime due strofe.

Nella terza strofa, Leopardi mostra la profonda Divergenza tra se stesso ed il passo, e cioè: il passero agisce in un certo modo, facendo cioè che la sua indole gli dice di fare, e perciò non avrà nessun rimorso, invece il poeta, sceglie di non fare come gli altri, ma sa che in seguito, si pentirà della sua scelta, e sarà toppo tardi. NB, la soglia di detestata vecchiaia.

Il male peggiore degli uomini non è la morte, ma la Vecchiaia.

Perché la morte è la cessazione di ogni cosa, ma la vecchiaia, si ha gli stessi desideri  e le aspettative della giovinezza, ma non si hanno i mezzi per soddisfarli.

I due mali principali di Leopardi sono: LA VECCHIAIA, e la Noia (il TEDIO).

La noia per Leopardi, è la consapevolezza della propria incapacità di realizzarsi.

Dalla cima dell’antico campanile, canti o passero solitario, canti o passero solitario fino al tramonto, e l’armonia si diffonde in tutta la valle. Tutt’intorno brilla la primavera ed esulta nei campi, cosicché a guardarla il cuore si intenerisce, si odono greggi muggire, gli altri uccellini contenti, gareggiano nel cielo, continuando a festeggiare la loro stagione migliore. Tu invece pensieroso, osservi tutto in disparte, non hai compagni, non voli, non ti importa dell’allegria, eviti i divertimenti, canti e così trascorri la parte migliore dell’anno e della tua vita. Ahi me, come il tuo modo di vivere assomiglia al mio, i divertimenti e l’allegria e l’amore, che sono compagni della giovinezza e doloroso rimpianto dell’età adulta, io non curo, e non so come mai, anzi quasi fuggo da loro, quasi solitario ed estraneo nel mio paese natale, io trascorro la primavera della mia vita. Questo giorno che ormai sta per finire, si usa festeggiare al nostro paese, nel cielo sereno si ode il suono delle campane, e spesso si sentono colpi di fucile, che rimbombano in lontananza da un podere all’altro. La gioventù del paese vestita a festa, esce di casa e gira per le strade, ammira ed è ammirata e dentro di se si rallegra. Io invece solo, andando verso la campagna solitaria, rimando ogni svago ad un altro momento, ed intanto il sole mi colpisce(ferisce) lo sguardo che vaga nell’aria limpida; il sole che dopo una giornata serena, tramontando si nasconde tra i monti lontani, e sembra dire che la gioventù sta per finire. Tu, solitario uccellino, quando arriverai al temine della vita che il destino ti concederà, certamente non ti pentirai delle tue abitudini, poiché ogni vostra tendenza(inclinazione) è frutto della vostra indole. A me (invece) se non ottengo di evitare la detestata vecchiaia quando i miei occhi saranno muti per gli altri e per loro, il mondo sarà vuoto, e il futuro sarà più cupo e triste del presente, che cosa sembrerà di questo desiderio, che cosa d questi miei anni e di me(stesso)? Ahi me mi pentirò, e spesso, ma inutilmente, mi volterò indietro.

In questo canto Leopardi si trova alla prima fase del suo pessimismo.

L’infinito

Colle, è il monte Tabor, che si trova vicino a Recanti.

Questo Colle grande, mi è sempre stato caro, come pure questa siepe che impedisce la vista di gran parte dell’orizzonte, ma sedendo e osservando, io, mi immagino sterminati spazi oltre la siepe, e un silenzio sovrumano ed una grande quiete, e in tutto questo il mio cuore si spaventa, e non appena sento il vento stormire tra queste piante, io paragono quel silenzio infinito a questo suono, e mi viene a mente l’eternità, e le stagioni passate, e la stagione presente, e la sua voce. Così, in quest’immensità si annega il mio pensiero e mi è dolce naufragare in questo mare.

Nella sezione degli idilli appartiene anche la sera del dì di festa. Che fa parte dell’infelicità individuale.

La sera del dì di festa

In questa lirica ce una serie di spunti/temi che verranno riproposti in altre liriche: vv.26 la figura dell’artigiano che rientra dopo aver fatto un po di festa, la ritroviamo nel sabato sera di adesso.

Altro spunto: vv.33 con il riferimento ai popoli antichi, dove il poeta dice che il mondo non si ricorda più della grandezza umana, che ritroveremo nella Ginestra.

La notte è limpida e calma, e la luna brilla fra le case in mezzo agli orti, e mostra in lontananza la quiete dei monti. O donna mia, ormai tutti i sentieri sono silenziosi e attraverso i balconi filtra qualche debole luce. Tu dormi, perché un sonno sereno, facile, ti ha colto nelle tue stanze, e non ti angoscia nessuna preoccupazione. Certamente tu non sai di aver provocato nel mio cuore. Tu dormi, io invece mi alzo a guardare il cielo che all’apparenza sembra benevolo e l’onnipotente natura, che mi ha creato per soffrire. La natura mi disse: io a te nego persino la speranza, e i tuoi occhi brilleranno solo di lacrime.

Questo giorno è stato un gg di festa, ora tu ti riposi dagli svaghi, e forse sogni tutti coloro ai quali tu sei piaciuta e che piacquero a te, certo non ti vengo in mente io, e non oso neppure sperarlo. In tanto mi chiedo quanto mi resti da vivere, e mi getto a terra e mi lamento.

O terribili gg in quest’età gioiosa, non lontano sento il canto solitario dell’artigiano che ritorna a notte fonda alla sua povera casa, dopo la baldoria, e crudelmente mi si stringe il cuore, pensando come nel mondo, tutto passa quasi senza lasciare traccia. Ormai il gg festivo è finito e sta per ricominciare il gg feriale e lo scorrere del tempo porta via con se ogni avvenimento umano. Ora dov’è il ricordo degli antichi popoli?? Dov’è il ricordo degli antenati famosi, del grande impero di Roma? Con le armi e il fragore,che da Roma si diffusero attraverso la terra e il mare. Ormai tutto è calmo e silenzioso,e il mondo non parla più di loro. Nella giovinezza quando si aspetta con ansia il giorno festivo, e dopo che era trascorso, io giacevo nel letto sofferente, e in piena notte, un canto che si udiva in lontananza, gia  mi faceva soffrire come oggi.

Alla Luna

O graziosa luna, io mi rammento

Che, or volge l’anno, sovra questo colle

Io venia pien d’angoscia a rimirarti:

E tu pendevi allor su quella selva

Siccome or fai, che tutta la rischiari.

Ma nebuloso e tremulo dal pianto

Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci

Il tuo volto apparia, che travagliosa

Era mia vita: ed è, né cangia stile, —-> sottolinea come il dolore era ed è.

O mia diletta luna. E pur mi giova

La ricordanza, e il noverar l’etate

Del mio dolore. Oh come grato occorre

Nel tempo giovanil, quando ancor lungo

La speme e breve ha la memoria il corso,

Il rimembrar delle passate cose,

Ancor che triste, e che l’affanno duri! 

Oh benevola luna, i mi ricordo che un anno fa io venivo su questo colle ad ammirarti, a contemplarti, pieno d’angoscia, e tu stavi sospesa su quel bosco ALLORA, come adesso, poiché lo rischiari tutto(il bosco), MA il tuo aspetto, appariva velato e tremolante ai miei occhi a causa del pianto che sgorgava sulle mie ciglia, poiché la mia vita era tormentata, e lo è ancora, e non cambia la sua caratteristica, o mia amata Luna. Eppure mi conforta il ricordo, e il misurare l’etate(la continuità del mio dolore. Oh come è gradito durante la giovinezza, quando il percorso della speranza è ancora lungo, e il percorso della memoria è breve, ricordare il passato (le cose passate), anche se è triste ed il dolore persiste.

La luna viene definita “Graziosa” e “diletta” .

La lirica si solge su due piani temporali diversi, che hanno in comune la sofferenza del poeta e la luna, a sottolineare questo, abbiamo i verbi “allor” ed “ora”.

Motivo dell’ anniversario.

Apostrofe alla Luna, tema diffuso della poesia preromantica come i canti di Ossian.

È indeterminata nelle sue cause!!(cosa?) la causa del suo dolore.

A Silvia (pg. 534)

“Teresa Fattorini, figlia del cocchiere, morta di tisi a ventun anni il 30 settembre 1818, viveva di fronte a palazzo Leopardi; nella piazza abitava anche Maria Belardinelli, “tessitora” morta a ventisette anni il 3 novembre ’27. Leopardi rievoca Teresa “in quello aspettar la morte per sé”:”

Viene considerata metafora della giovinezza.

Questa poesia viene scritta nel 1828, a Pisa, ed è composta dopo quel periodo di silenzio poetico.

Silvia, ricordi ancora il tempo della tua vita, quando la bellezza risplendeva nei tuoi occhi sorridenti e timidi, e tu lieta ed al tempo stesso pensierosa, stavi per superare la soglia della giovinezza, le stanze della tua casa, e le vie circostanti, risuonavano, per il tuo continuo canto, quando ti dedicavi ai lavori femminili, ed eri contenta di quel futuro indefinito, era il mese di maggio, e tu eri solita trascorrere così le tue giornate. (Io) Talvolta, interrompendo i miei studi e le pagine faticose, su cui si consumavano la mia giovinezza e le mie migliori energie, dai balconi della casa paterna ascoltavo la tua voce e il rumore della tua mano (che percorreva la tela della tessitura). Osservavo il cielo sereno, le strade e gli orti baciati dal sole e da una parte in lontananza il mare e dall’altra i monti, le parole umane non riescono a dire(esprimere) quello che io provavo nel mio cuore.

Che dolci pensieri, che speranze, che sentimenti o mia Silvia, come ci apparivano allora la vita umana ed il destino, quando mi ricordo di così tante speranze, un sentimento dolloroso e sconsolato mi opprima e ricomincio a compiangermi per la mia sventura, o natura, xke non mantieni nell’età adulta quello che prometti nella giovinezza?, xke inganni in questo modo i tuoi figli? Tu, prima che l’inverno inaridisse l’erba, vinta da un male nascosto, e non hai visto il fiorire della tua giovinezza, non ti lusingava il cuore, la lode dei tuoi capelli, o degli sguardi degli innamorati, e le tue compagnie non avrebbero parlato d’amore con te nei giorni di festa. Di li a poco sarebbe morta anche la mia speranza, xke anche alla mia vita, xke il fato ha negato la mia giovinezza. Ahime, come sei passata, o cara compagna della mia giovinezza. È questo quel mondo? Sono queste le gioie, l’amore, gli avvenimenti, di cui abbiamo tanto parlato insieme? Questo è il destino dell’umanità? All’apparire del vero, tu , o infelice, sei morta e con la tua mano indicavi da lontano la morte e una tomba spoglia.

[ vv. 54 come passata sei mia cara compagna. Allude tanto a silvia,  quanto alla speranza]

[ vv. 55 mia speranza speme. ]

Altro aspetto da ricordare, è che qui il paesaggio(lo sfondo) è tratteggiato solo in modo generico, non in modo determinato,.]

Compare anche il senso del vago, e dell’infinito!!!

Canto notturno di un pastore errante dell’Asia (l’ultimo dei Pisano-recanatesi)

Pur essendo l’ultimo, al momento della pubblicazione, non lo colloca alla fine, ma all’inizio.

Sito

Tema: Il “Canto notturno di un pastore errante dell’ Asia” è stato composto a Recanati nel 1830. L’idea del canto fu suggerita al poeta dalla lettura di un passo di un articolo riportato su una rivista (Journal des Savants). Nell’articolo si legge che “alcuni pastori nomadi dell’Asia Centrale sono soliti trascorrere le notti all’aperto e seduti su una pietra rivolgono delle parole malinconiche alla Luna”.

La lirica consiste in un lungo monologo di un essere umano (il pastore) che si rivolge direttamente alla luna. Nel canto il pastore errante pone diverse domande alla luna sulla vita e sull’esistenza dell’ essere umano. Leopardi sceglie di servirsi della semplice ed ingenua voce di un pastore, ritenendo quest’ultimo meglio di altri adatto ad interpretare l’ansia di conoscenza comune a tutti gli uomini e le domande che egli pone sono le domande che tutti gli uomini si portano dentro.

Nel canto la luna ha un ruolo centrale e assurge a simbolo del trascendente, cioè di quella forza misteriosa che regge le sorti dell’intero Universo e degli esseri viventi. E’ la confidente del pastore, raccoglie i suoi dubbi e le sue preoccupazioni, sembra essere una presenza consolatrice anche se non può (o non vuole) dare risposte alle domande che le vengono rivolte.

Questo canto mette in risalto la teoria del pessimismo cosmico.

Secondo Leopardi la natura è una matrigna. L’uomo nasce al solo scopo di morire perché l’ esistenza è un ciclo continuo di distruzione della materia. L’uomo (anzi l’essere vivente, uomini e animali) è nato per soffrire, vittima di una natura e di una forza superiore del tutto indifferente al suo dramma. L’infelicità umana è una realtà concreta che domina l’ universo. Anche questo aspetto è messo in evidenza nel canto perché il pastore nel silenzio non riesce ad essere tranquillo ma è dominato dalla paura e dall’insicurezza.

Si contrappone alla natura la ragione come efficiente strumento conoscitivo capace di svelare le contraddizioni del reale. La ragione non conduce alla felicità, rende l’uomo consapevole della propria condizione e lo libera da false credenze. L’uomo ha una sua dignità e deve saper prendere atto con fierezza della sua triste condizione ed accettarla, visto che cambiarla è impossibile.

Dimmi o luna, che significato ha la vita del pastore, e la vostra vita per voi [gli astri] (Al pastor…a voichiasmo)? dimmi: dove è destinato questo mio breve vagare e il tuo percorso immortale?

Ma perché far nascere (dare al sole – sta per: dare alla luce), perché mantenere poi in vita chi bisogna (convenga = sia necessario) consolare? Se la vita è dolore e sofferenza (sventura), perché si sopporta (si dura)?
Intatta [al v.37 la luna viene definita vergine e qui intatta, dando lo stesso significato di “non toccata dalle vicende umane”] Luna, questa (tale riprende la stessa chiusa della strofa precedente) è la condizione degli uomini.

Il vecchio allude ad una riminiscenza petrarchesca.

L’uomo nasce con fatica, e gia la nascita stessa, è un rischio di morte, subito x prima cosa, prova dolore, e da subito, il padre e la madre lo consolano per il fatto di essere nato. Man mano che l’uomo cresce, i genitori lo sostengono e continuamente con i gesti e le parole, cercano di incoraggiarlo, e di consolarlo. Da parte dei genitori, non esiste un compito piu utile ai figli. Ma percge doveva dare alla luce, perche doveva mantenere in vita qualcuno che poi si deve consolare dellla vita? perche da parte nostra è sopportata? O vergie luna, questo è la condizione umana, ma tu non sei mortale, e ti importa delle mie parole.

IL SABATO DEL VILLAGGIO (Sito)

La Ginesta Parafrasi

La Ginestra o fiore del del deserto conclude il pensiero filosofico di Leopardi e è praticamente il suo testamento spirituale. Nella canzone si parla della coraggiosa e allo stesso tempo fragile resistenza, che la ginestra oppone alla lava del Vesuvio, il monte sterminatore, simbolo della natura crudele e distruttiva. Il delicato fiore coraggiosamente risorge sulla lava impietrata, e con la fragranza dei suoi arbusti sembra rallegrare queste lande desolate. Ma il suo destino è tragicamente segnato da una nuova eruzione, capace di annullare non solo la sua consolante presenza ma – ben più drammaticamente – la presenza dell’uomo in questi luoghi. La ginestra diviene simbolo della condizione umana.

Leopardi in questo canto mette in contrapposizione la smisurata potenza della Natura con la debolezza e fragilità, e direi quasi impotenza, del genere umano: da un lato la Natura che tutto può e dall’altro l’uomo che deve subire ciò che la divinità superiore con i suoi “decreti” ha stabilito per lui; l’insesorabile inimicizia della Natura nei confronti degli uomini in contrasto con la ridicola superbia degli uomini che, pur non essendo nulla, si credono padroni e signori della terra e dell’universo.

Il canto può essere diviso in 8 parti:

  1. La ginestra (versi 1-16)
  2. invettiva contro la natura – ginestra simbolo della poesia (versi 17-51)
  3. invettiva contro a cultura dominante (versi 52-86)
  4. stoltezza e nobiltà dell’uomo – 111-135: la più alta affermazione della propria dignità morale che Leopardi abbia lasciato, espressione definitiva dell’ideale di eroica lotta contro il destino; la magnanima grandezza, unico possibile riscatto dalla miseria della condizione umana, è unita a un ideale di fraternità con gli altri uomini (versi 86-157)
  5. piccolezza dell’uomo, precarietà della condizione umana – visione di spazi cosmici sterminati, immensità gelida incomprensibile e arcana – lo spazio smisurato coincide col nulla (versi 158-201)
  6. cecità della natura cieche e inesorabili sono le forze naturali che casualmente distruggono i viventi nella morte: in ogni caso la Natura segue impassibile il suo eterno corso (versi 202-236)
  7. potenza e insensibilità della natura: non solo sul nuovo, ma anche sulle rovine incombe minacciosa la Natura (versi 237-296)
  8. umiltà e saggezza dell’uomo illuminato (versi 297-317)

Dal verso 126, leopardi propone un alternativa alle idee che combatte. Continua ad escludere la felicità, ma esclude un progresso che assicuri una società piu giusta e rapporti piu fraterni tra gli uomini. Leopardi delinea anche il compito dell’intellettuale in questa società. E vuole indicare il vero nemico che è la natura.

La 5 strofa riprende il motivo della prima strofa

La natura nn si preoccupa dell’uomo quanto nn si preoccupa delle formiche

Nell’ultima strofa ritorna in primo piano la ginestra.

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