Popper
Popper e il neopositivismo
Il rapporto fra Popper e il neopositivismo rappresenta uno dei problemi più controversi e discussi. A tal proposito, sono state elaborate tre interpretazioni principali. Per la prima, dominante sino alla fine degli anni Cinquanta, Popper sarebbe stato una sorta di neopositivista “dissidente”. Dagli anni Sessanta, Popper sarebbe stato l’avversario per eccellenza del neopositivismo, anzi colui che avrebbe contribuito a determinarne la fine.
Rappresenta uno dei problemi più discussi, 3 ipotesi:
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– fine anni 50: popper sarebbe un neopositivista dissidente, cioè vedeva qualche limite/
difetto
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– Anni 60: popper sarebbe il più stremo oppositore del positivismo, addirittura colui che
segna la fine del positivismo;
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– Fine anni 80: poper sarebbe una realtà a se, un pos intermedia tra neopos e opposizioni,
sarebbe un epistemologo(colui che studia le scienze).
Per una terza interpretazione, più recente, quella di Popper non sarebbe né un’epistemologia sostanzialmente riconducibile al neopositivismo né una critica e un’alternativa radicale a esso, ben- sì una posizione intermedia, ovvero una combinazione di elementi neopositivistici e antineopositivistici. In altri termini, Popper sarebbe un epistemologo che sta al confine fra neopositivismo e antineopositivismo, e che proprio per ciò funge da punto di passaggio determinante nella sequenza storica che porta alla più recente epistemologia postpositivistica.
Popper ed Einstein
Quali sono i tratti della rivoluzione einsteiniana che hanno specificamente influito su Popper? Innanzitutto, Popper rima- se colpito dal fatto che Einstein avesse formulato delle previsioni “rischiose”, ossia che le sue teorie fossero organizzate ma in vista di possibili smentite. Popper trasse da Einstein la conclusione che le teorie scientifiche non sono verità assolute, ma semplici ipotesi o congetture destinate a rimanere tali. Popper ha tratto da Einstein i principi di fondo della sua epistemologia: il falsificazionismo e il fallibilismo.
La riabilitazione della filosofia
La trattazione del pensiero di Popper può essere divisa in due grandi sezioni: l’epistemologia e la politica. Queste due sezioni risultano strettamente connesse fra di loro, in quanto il razionalismo critico del filosofo costituisce anche il fondamento della dottrina politica del liberalismo, di cui egli fu strenuo sostenitore sin dagli anni in cui il mondo era caduto sotto l’influenza delle dittature di destra e di sinistra.
Egli afferma che il suo interesse
«non si rivolge soltanto alla teoria della conoscenza scientifica, bensì alla teoria della conoscenza ingenerale»
pur aggiungendo che «lo studio dell’accrescersi della conoscenza scientifica, contrapponendosi a certo antifilosofismo di matrice wittgensteiniana e analitica, Popper procede a una vera e propria riabilitazione generale della filosofia. Ribadisce la necessità e meliminabilità della filosofia, insiste sul fatto che, come esistono teorie scientifiche o politiche, perché esi- stono problemi scientifici o politici, così esistono le teorie filosofiche perché esistono problemi di natura specificamente filosofica:
Popper
«Ho sempre creduto che esistano problemi filosofici autentici che non sono dei meri rompicapi originati dall’abuso del linguaggio»
La filosofia ha sempre a che fare con la conoscenza della realtà e non con vuote parole. Questa visione ampia del filosofare risulta confermata dalla concomitante rivalutazione dei presocratici e del problema cosmologico.
Le dottrine epistemobgiehe
Il punto di partenza di Popper è la ricerca di un criterio di demarcazione fra scienza e nonscienza, intendendo, per demarcazione, la linea di confine fra le asserzioni delle scienze empiriche e le altre asserzioni. Egli offre una soluzione originale.
Secondo un radicato luogo comune, elevato ad assiomafilosoficodal neopositivismo, una teoria risulta scientifica nella misura in cui può essere “verificata” dall’esperienza. In realtà, ribatte Popper, il verificazionismo è un mito o un’utopia, in quanto, per verificare completamente una teoria o una legge, dovremmo aver presenti tutti i casi. Ma ciò non è possibile. Infatti, da una somma, per quanto ampia, ma pur sempre limitata, di casi particolari non potrà mai scaturire una legge universale. Inoltre, mentre le conseguenze di una teoria sono di numero infinito, i controlli effettivi della medesima sono di numero finito. Ma se il principio di verificazione non è atto a definire lo status scientifico di una teoria? Stimolato dal modello di Einstein, Popper rintraccia tale principio nel criterio di falsificabilità.
Secondo tale criterio una teoria è scientifica nella misura in cui può venir smentita, in linea di principio, dall’esperienza; ovvero se i suoi enunciati risultano in potenziale conflitto con eventuali osservazioni. In altre parole ancora, una teoria è classificabile come scientifica nella misura in cui dispone di un sistema di controlli empirici, ossia quando esibisce, nella forma delle asserzioni-base, delle possibili esperienze falsificanti.
Le asserzioni-base e l’immagine della scienza come «costruzione su palafitte»
Come si è visto, la piattaforma del processo di falsificazione è costituita dalle asserzioni- base. Le asserzioni-base sono quegli enunciati elementari, aventi la forma di asserzioni singolari di esistenza, che risultano intersoggettivamen- te controllabili e sulla cui accettazione esiste un accordo di fondo tra gli osservatori scientifici.
A differenza dei protocolli osservativi neopositivistici, il valore delle asserzioni-base, secondo Popper, non dipende da proprietà intrinseche, ma da una “decisione” dei
ricercatori1, ossia dal fatto che gli scienziati di un certo periodo storico si trovano d’accordo nel ritenerle valide e nell’usar- le come mezzi di controllo delle teorie(cioè stabilire quali sono le informazioni base, frutto di un gruppo di ricercatori).
Tuttavia, poiché la comunità dei ricercatori può sempre decidere di metterle in discussione, ne segue che la base empirica del sapere risulta priva di qualsiasi assolutezza e che alla tradizionale immagine della scienza come edificio stabile basato su una solida roccia bisogna contrapporre l’innovativa immagine della scienza come costruzione precaria eretta su fragili palafitte.
Popper
Le asserzioni-base non fungono da “base” del sapere scientifico in senso cronologico, ma in senso metodologico.
La loro funzione è duplice:
a) le asserzioni-base logicamente possibili servono per stabilire il carattere empirico
delle teorie.
b) le asserzioni-base effettivamente accettate costituiscono il punto di partenza del concreto meccanismo di controllo di una teoria.
L’asimmetria tra verificabilità e falsificabilità e la teoria della corroborazione
La “superiorità” epistemologica del principio di falsificabilità, che insiste sul valore della smentita rispetto a quello della conferma, deriva, dalla asimmetria logica fra verificabilità e falsificabilità, ossia dal fatto che miliardi e miliardi di conferme non rendono certa una teoria, basta un solo fatto negativo per confutarla.
Ciò significa che quel che si può imparare dall’esperienza non è la “verità” di una teoria, ma la falsità di un’ipotesi, ovvero che la scienza non è il mondo delle verità certe e definitivamente “veri-ficate “, ma l’universo delle ipotesi che, per il momento, non sono ancora “falsi-ficate”. Popper ritiene che le teorie, pur non potendo essere verificate, ma solo, eventualmente, falsificate, possano tuttavia venir “corroborate”. Un’ipotesi teorica è corroborata quando ha superato il confronto con un’esperienza potenzialmente falsificante.
Il fatto che una teoria presenti un alto grado di corroborazione, non dice nulla sulla sua capacità di sopravvivere a controlli futuri.
La corroborazione non è un indice di verità, ma uno strumento per stabilire «la preferenza rispetto alla verità». Questo significa che la corroborazione, pur non potendo fungere da (definitivo), può fungere da (temporaneo) criterio di scelta fra ipotesi rivali.
Da ciò il tentativo popperiano di rintracciare una misura quantitativa del grado di corroborazione delle ipotesi. Tentativo che accomuna Popper a un certo filone del neoempirismo e che risulta destinato a generare non poche difficoltà.
La riabilitazione della metafìsica (ciò che va oltre la fisica, non è falsificabile perchè non abbiamo dei dati concreti)
Il principio di falsificabilità non è un criterio di senso che sancisca la significanza cognitiva delle teorie scientifiche e l’insignificanza cognitiva di quelle non- scientifiche, ma semplicemente un criterio di demarcazione atto a distinguere, all’interno delle teorie significanti, quelle scientifiche da quelle non-scientifiche. la metafisica, non essendo falsificabile, non è una scienza. Questo non significa che sia senza senso, cioè quell’insieme di “chiacchiere” che, secondo la tesi di Hume, dovremmo «dare alle fiamme». Tant’è che noi comprendiamo benissimo che cosa i metafisici vogliono dire, anche se non disponiamo di strumenti atti a controllare la validità delle loro tesi. Ai neopositivisti è sfuggita la serie delle interconnessioni psicologiche e storiche fra teorie metafisiche e teorie scientifiche, ovvero la funzione propulsiva esercitata di fatto dalla metafisica nei confronti della scienza. Dal punto di vista psicologico, la ricerca empirica risulta impossibile senza la fede in idee metafisiche generali, ossia in idee che:
Popper
«determinano non solo quali problemi esplicativi sceglieremo di affrontare, ma anche quali tipi di risposte considereremo idonee, soddisfacenti o accettabili»
Ad esempio, per quanto concerne la cosmologia, da Talete a Einstein, sono state le idee metafisiche «a indicare la strada». Anzi, in taluni casi, «idee che prima fluttuavano nelle regioni della metafisica» (si pensi all’atomismo) si sono trasformate in dottrine scientifiche.
Infine, aggiunge Popper, è bene tener presente che le dottrine metafisiche, pur non essendo empiricamente controllabili, sono pur sempre razionalmente criticabili e discutibili (e quindi sono ben lungi dal ridursi a semplici espressioni emotive e soggettive). Ecco perché anche a una teoria metafisica possiamo chiedere.
Inesistenza ed esistenza del metodo. Il procedimento per «congetture e confutazioni»
Popper si presenta, a prima vista, come un tipico filosofo del metodo(Cartesio fu il primo). In realtà, la posizione del filosofo su questo argomento è più articolata di quanto sembri. Infatti, da un lato, contro tutta la tradizione dell’empirismo, Popper afferma, testualmente, che «non c’è alcun metodo per scoprire una teoria scientifica», sostenendo che le teorie sono l’esito di congetture «audaci» e di intuizioni «creative» e non l’esito di procedimenti da manuale(cioè applicazione di un metodo precostituito). Le ipotesi hanno un numero imprecisato di sorgenti: dalla riflessione alla fantasia. Anzi, l’origine di molte teorie scientifiche è palesemente extra-scientifica. Tant’è che Popper, distinguendo fra contesto della scoperta e contesto della giustificazione (e quindi fra genesi e valore del- le teorie) osserva che le idee scientifiche non hanno fonti privilegiate, potendo scaturire dalle sorgenti più diverse. Ciò non toglie che le idee, una volta trovate, vadano provate. Ed è a questo punto che inter- viene il principio di falsificabilità, il quale proclama che una teoria è scientifica solo nella misura in cui è smentibile dall’esperienza.
Questo “metodo” non è altro che il procedimento per congetture e confutazioni o per prova ed errore , ovvero il metodo problemi-ipotesi-prove, che consiste nel rispondere a un problema mediante un’ipotesi che deve venir sottoposta al vaglio critico dell’esperienza. Il metodo per congetture e confutazioni, precisa Popper, si configura come una sorta di prolungamento culturale del meccanismo che sta alla base dell’evoluzione biologica e del processo di adattamento e sopravvivenza delle specie. Al punto che fra Einstein e un’ameba, cioè fra un grande scienziato e un semplicissimo organismo cellulare, non esiste alcuna differenza di fondo: entrambi adottano il metodo per prova ed errore nella soluzione dei problemi.
Il rifiuto dell’induzione e la teoria della mente come “faro” e non come “recipiente”
Per una tradizione di pensiero che va da Bacone ai giorni nostri, osserva Popper, la scienza si fonda sull’induzione, intesa come procedimento che va dal particolare all’universale.
In realtà Popper sostiene , l’induzione, concepita come procedimento di giustificazione delle teorie, non esiste. Per quanto numerose possano essere le osservazioni singolari, esse non sono mai capaci di produrre teorie universali. Questa impotenza strutturale dell’induzione trova un’emblematica illustrazione nella vicenda del “tacchino induttivista” raccontata da B. Russell .
Di conseguenza, ispirandosi alle rivoluzioni scientifiche del nostro secolo, Popper afferma che le teorie non vengono ricavate con un procedimento che va dai fatti alle teorie, ma con un procedimento che va dalle teorie al loro controllo tramite i fatti. Secondo
Popper
tale modello, che si basa sull’ideale di un controllo deduttivo delle teorie, il punto di partenza della ricerca scientifica non è costituito da nudi fatti, bensì da congetture o “ipotesi” da cui vengono deduttivamente ricavate delle conclusioni da sottoporre al responso dell’esperienza.
Popper può presentare la propria dottrina epistemologica come «sintesi di due teorie classiche della conoscenza: una sintesi di elementi di razionalismo e di empirismo». Da un lato essa fa proprio l’orientamento logico-deduttivistico del razionalismo e dall’altro accetta l’insegnamento di fondo dell’empirismo moderno, secondo cui è solo l’esperienza che può aiutarci a decidere in merito alla validità di un’ipotesi.
Il rigetto dell’induzione si accompagna a un rifiuto dell’osservazionismo, ossia della teoria secondo la quale lo scienziato “osserva”, o dovrebbe osservare, la natura senza presupposti o ipotesi precostituite. In realtà, controbatte Popper, la nostra mente non è un recipiente vuoto, ma un «faro» che illumina,ossia un deposito di ipotesi alla luce delle quali percepiamo la realtà. Popper arriva a scrivere che «non vi è organo di senso in cui non siano geneticamente incorporate teorie anticipative», sostenendo che la scienza non parte mai dal nulla: «essa non può mai essere descritta come libera da assunzioni. A ogni istanza, infatti, essa presuppone, per così dire, un orizzonte di aspettative».
Scienza e verità
Secondo Popper la scienza non è un sapere definitivo e assolutamente certo, la scienza non ha a che fare con la “verità”, ma con semplici congetture.
Il fallibilismo si accompagna al rifiuto del classico modello fondazionalista e giustificazionista del sapere, ossia alla concezione della scienza come insieme di verità dotate di un “fondamento” certo, che la filosofia avrebbe il compito di scoprire e legittimare teoricamente.
Contro il fondazionalismo e il giustificazionismo, Popper afferma invece che: 1) il nostro sapere è strutturalmente problematico e incerto, 2) la scienza possiede, come tratto costitutivo, la fallibilità e l’autocorreggibilità; 3) il classico problema di come possiamo giustificare la nostra conoscenza risulta «privo di senso»; 4) all’uomo non compete il possesso della verità, ma solo la ricerca, mai conclusa, di essa.
Le dottrine politiche
Popper tenta di difendere le ragioni della libertà e del pluralismo con argomentazioni di natura epistemologica.
Storicismo, utopia e violenza
Con il termine “storicismo” Popper non intende quella specifica corrente di idee che va sotto il nome di “storicismo tedesco contemporaneo”, assume il significato di uno schema polemico di natura tipico-ideale, per alludere a tutte quelle filosofie che hanno preteso di cogliere un senso globale oggettivo della storia, ovvero una sorta di “destino” cui gli individui dovrebbero uniformarsi, accettando, con le buone o con le cattive, la direzione di marcia della società, in tal modo “svelata” o “profetizzata”. In altri termini, per storicismo Popper intende quella «velenosa malattia intellettuale del nostro tempo» che egli definisce «filosofia oracolare»
Popper
La critica di Popper a questo storicismo «oracolare» o «totalitario» è teorico-metodologica e pratico-politica al tempo stesso. Per quanto concerne l’aspetto conoscitivo, Popper contesta lo storicismo nella sua stessa pretesa di base di cogliere un senso oggettivo o una struttura necessaria che formerebbe l’essenza della storia e del destino umano. Non esiste, secondo Popper, un senso della storia pre-costituito rispetto alle interpretazioni e alle decisioni umane poiché la storia assume il senso che gli uomini le danno. Dallo studio scientifico dei fatti è vano attendersi delle prescrizioni di valore, in quanto «né la natura né la storia possono dirci che cosa dobbiamo fare» essendo noi a introdurre «finalità e significato nella natura e nella storia» (La società aperta). Popper rifiuta anche la pretesa olistica dello storicismo, ossia il suo voler parlare a ogni costo della totalità o dell’intero della storia, dimenticando l’avvertenza metodologica, tratta dalla prassi concreta delle scienze.
L’errore metodologico più grave dello storicismo oracolare, secondo Popper, è quello di far confusione fra leggi e tendenze.Questa serie di obiezioni teoriche allo storicismo sono accompagnate da altrettante contestazioni politiche.
Popper ritiene infatti che nello storicismo alberghi sempre un’utopia totalitaria che produce asservimento e sofferenza per gli uomini. Del resto, se si ritiene che esista un senso o una direzione oggettiva della storia, gli «interpreti ufficiali» di essa, si sentiranno autorizzati a «liquidare», anche fisicamente, chiunque si opponga a esse.
La teoria della democrazia
La critica metodologica e politica allo storicismo si accompagna, in Popper, al discorso sull’antitesi fra «società chiusa» e «società aperta», e all’approfondimento dei concetti di totalitarismo e di democrazia.
La contrapposizione fra società chiusa e società aperta viene utilizzata da Popper per focalizzare l’irriducibile contrasto fra una società organizzata secondo norme rigide di comportamento e una società fondata sulla salvaguardia delle libertà dei suoi membri, mediante istituzioni democratiche autocorreggibili, aperte alla critica razionale. Come si è visto, il progetto totalitario delle società «chiuse» trova nello storicismo un potente alleato ideologico. A cominciare da Eraclito, e da Platone, sino a Hegel e a Marx.
Utopia e violenza Presunzione filosofica e intolleranza politica degli utopisti
Ma l’errore metodologico più grave dello storicismo oracolare, secondo Popper, è quello di far confusione fra leggi e tendenze. Partendo dalla convinzione che «se è possibile per l’astronomia predire le eclissi, perché la sociologia non dovrebbe poter predire le rivoluzioni?», lo storicismo, fondandosi su talune tendenze della società, crede di poter predire il futuro “inevitabile” del- le cose umane. In tal modo, esso dimentica che una previsione, per essere veramente “scientifica”, deve basarsi su una legge e non su una tendenza, che può perdurare per centinaia di anni, come ad esempio l’aumento della popolazione, ma può anche cambiare in un decennio o in due anni.
Questa serie di obiezioni teoriche allo storicismo (che sono strettamente connesse al discorso epistemologico popperiano) sono accompagnate da altrettante contestazioni politiche a esso, come mostra la dedica di La miseria dello storicismo, indirizzata (si tenga presente che siamo nel 1957) a tutti
Popper
«gli innumerevoli uomini, donne e bambini di tutte le credenze, nazioni o razze che caddero vittime della fede fascista e comunista nelle Inesorabili Leggi del Destino Storico».
Questo filosofo ritiene infatti che nello storicismo alberghi sempre un’utopia totalitaria che produce asservimento e sofferenza per gli uomini. Del resto, se si ritiene che esista un senso o una direzione oggettiva della storia, gli «interpreti ufficiali» di essa, i «portavoce del suo destino», i «sacerdoti delle sue leggi» si sentiranno autorizzati a «liquidare», anche fisicamente, chiunque si opponga a esse.
Tipico il caso di Lenin, il quale ritiene che il marxismo debba essere realizzato a qualunque costo, pronto a rispondere, di fronte alle sofferenze provocate dalla rivoluzione, che «non si può fare una frittata senza rompere le uova». In sintesi, il credo filosofico della visione storicistica, che presume di cogliere la legge oggettiva dello sviluppo sociale, si accompagna a una forma di fanatismo politico che cela in sé una vocazione inevitabilmente intollerante e violenta, la quale porta gli utopisti, oltre che a “far fuori” gli altri, anche a scannarsi fra di loro.
La teorìa della democrazia
La critica metodologica e politica allo storicismo si accompagna, in Popper, al discorso sull’antitesi fra «società chiusa» e «società aperta», e all’approfondimento dei concetti di totalitarismo e di democrazia.
La contrapposizione fra società chiusa e società aperta viene utilizzata da Popper per focalizzare l’irriducibile contrasto fra una società organizzata secondo norme rigide di comportamento (e basata su un controllo «soffocante» della collettività sull’individuo) e una società fondata sulla salvaguardia delle libertà dei suoi membri, mediante istituzioni democratiche autocorreggibili, aperte alla critica razionale e alle proposte di riforma. Come si è visto, il progetto totalitario delle società «chiuse» trova nello storicismo un potente alleato ideologico. A cominciare da Eraclito (portavoce della più arrabbiata aristocrazia greca) e da Platone (esponente della reazione alla società aperta incarnata dalla democrazia ateniese e teorico di un modello statale “organicistico”) sino a Hegel (rappresentante di uno statalismo antidemocratico) e a Marx (profeta di un collettivismo totalitario), lo storicismo non ha fatto che accompagnarsi a posizioni politiche autoritarie e foriere di sofferenze e di sventure per rumanità.
L’antitotalitarismo di Popper mette capo a una dottrina della democrazia, che costituisce una delle parti più interessanti e notevoli dell’opera di questo filosofo. La democrazia è stata tradizionalmente definita in relazione al soggetto cui viene attribuito il potere: “il popolo” . Tutto ciò, secondo Popper, serve a poco se non si aggiunge che la democrazia si identifica con la possibilità, da parte dei governati, di controllare i governanti, mediante una serie di istituzioni «strategiche».
Il riformismo gradualista
La difesa popperiana della democrazia si accompagna a una critica dell’atteggiamento rivoluzionario e a un’esaltazione del metodo riformista. Secondo Popper la mentalità radical-rivoluzionaria nasce da una sorta di “estetismo”, cioè da un sogno utopistico di perfezione e di armonia, il quale, come si è visto, non può fare a meno di generare violenza. Popper si dichiara contrario all’uso della violenza, affermando che è lecito ricorrere a essa soltanto per abbattere la tirannide e instaurare la democrazia.
Popper
Di conseguenza, Popper ritiene che il metodo riformista e gradualista possegga una netta superiorità su quello rivoluzionario perché: 1) evita di promettere “paradisi” che alla prova dei fatti si rivelano degli “inferni”; 2) non pone dei fini assoluti che legittimino anche i mezzi più ripugnanti in vista del loro presunto raggiungimento; 3) procede per via sperimentale, essendo disposta a correggere mezzi e fini in base alle circostanze concrete e ai risultati ottenuti; 4) riesce a dominare meglio i mutamenti sociali, senza trovarsi in situazioni impreviste e difficili, tali da facilitare l’avvento di una dittatura traditrice degli ideali stessi della rivoluzione: «così fu nella rivoluzione inglese del XVII secolo, che portò alla dittatura di Cromwell; nella rivoluzione francese, che portò a Robespierre e a Napoleone, e nella rivoluzione russa, che ha portato a Stalin. È dunque chiaro che gli ideali rivoluzionari e i loro sostenitori finiscono quasi sempre con l’essere vittime della rivoluzione»; 5) è in grado di mantenere quel bene prezioso e irrinunciabile che è la libertà, creando «un’atmosfera in cui l’apertura critica delle condizioni sociali esistenti non è repressa con la violenza e nel cui contesto si rendono possibili ulteriori riforme».
Il vero significato del liberalismo riformista e progressista di Popper emerge proprio là ove egli dice che il problema delle società industriali avanzate è di fare in modo che lo Stato, pur intervenendo nella vita sociale, non pregiudichi la libertà dei cittadini.
Di conseguenza, secondo Popper, l’unico valore veramente da “conservare” è il metodo della libertà e della democrazia, in cui egli vede l’analogo, in campo politico, del metodo critico della scienza.
Posted on 17 aprile 2013
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